FINE PROGETTO DI INFORMAZIONE CROCETTA, FASE 4: ELABORAZIONE DATI

Con la quarta fase del Progetto di informazione Crocetta terminiamo il lavoro da noi svolto a Cinisello Balsamo elaborando tutti i dati raccolti durante l’indagine sul campo, la ricerca della notizia e la verifica delle fonti.
Abbiamo applicato il Metodo Giornalistico Codificato per analizzare la realtà di una delle aree multietniche più complesse dell’intero hinterland milanese.

Il forte degrado del quartiere Crocetta ha trasformato la zona in un ghetto a cielo aperto. E da molti anni i residenti chiedono una riqualificazione del territorio.

Per comprendere le conseguenze del deterioramento sociale abbiamo analizzato le cause: demografia e urbanistica.

La storia di Cinisello Balsamo nasce negli anni ’50 con l’emigrazione di massa dal sud Italia in un momento di euforia economica. L’immigrazione fuori controllo ha generato un’espansione improvvisa della periferia milanese. E per far fronte alla crescita demografica, gli urbanisti hanno progettato una pianificazione degli spazi pensati per l’emergenza. Negli anni ’90, circa 40 anni dopo, la seconda immigrazione di massa proveniente dall’estero ha destabilizzato le dinamiche socio-economiche e culturali della popolazione residente. E oggi l’emergenza è cronica. Era quasi impossibile prevedere il cambiamento dello scenario geopolitico internazionale e nessuno aveva gli strumenti per concepire un territorio urbano capace di integrare al proprio interno così tante persone provenienti da tutto il mondo in un’area tanto piccola quanto il quartiere Crocetta.

La politicizzazione (a destra e a sinistra) di questa specifica problematica ha di fatto condizionato le dinamiche di integrazione e oggi il degrado non è più tollerabile. Per sanificare il quartiere occorre fare un lavoro di educazione civica e avviare la riqualificazione urbanistica delle aree private, ma i conflitti interni ostacolano il processo.

PRIMA FASE: INDAGINE SUL CAMPO 01/12/2023

La Crocetta è un quartiere di grandi complessi residenziali, realizzato tra gli anni sessanta e settanta, dove la densità abitativa è sei volte superiore alla media della città (31.700 ab/kmq) e oggi la popolazione straniera rappresenta il 40% dell’intera popolazione residente. Dei 5.000 residenti in Crocetta – che ha una superficie di 157.890 mq, – 2.000 sono stranieri.

L’immigrazione – proveniente principalmente dalle regioni italiane meridionali negli anni ’60/’70 e successivamente dai Paesi esteri – ha trasformato questa zona della periferia di Milano in un caso studio utile per comprendere le dinamiche dei flussi migratori.

Il progetto è fondato su un procedimento regolamentato in quattro fasi consequenziali:

  • Indagine sul campo e pre-valutazione degli elementi di notiziabilità
  • Ricerca della notizia
  • Verifica delle fonti
  • Elaborazione dei dati raccolti

Ogni fase è documentata cronologicamente per intero sul nostro sito, dove trovate tutti gli articoli completi. E termina con una conclusione parziale in relazione al lavoro svolto.

E’ importante sottolineare che l’informazione prodotta è contestualizzata.

L’attività giornalistica è limitata a:

-Cinisello Balsamo

-Milano

-Provincia di Monza e Brianza

Il quartiere Crocetta di Cinisello Balsamo è il risultato di tutto quello che non è stato fatto in materia di immigrazione. La sovrappopolazione – conseguenza dell’emigrazione di massa – ha aggravato le condizioni della vivibilità cittadina. E gli Enti del terzo settore sembrano essere gli unici a prendersi la responsabilità della vita dei residenti.

I volontari e le volontarie Caritas, in collaborazione con il Caf patronato MCL di Cinisello Balsamo, si impegnano ad aiutare tutte le persone in difficoltà. Purtroppo però, molte non riescono a migliorare la loro situazione. La maggioranza è rappresentata da stranieri che fanno fatica a integrarsi nel mondo del lavoro e senza documenti non possono regolarizzare la loro condizione di emergenza.

La prima fase dell’integrazione socio-economica passa attraverso il processo di regolamentazione. Molti però non conoscono le procedure o non comprendono le informazioni a causa della lingua.

In alcuni casi anche la comunicazione tra gli Enti di competenza si complica, rallentando i meccanismi burocratici.

Manuel Torres, responsabile dell’ufficio immigrazione del Caf patronato MCL circolo Crocetta di Cinisello Balsamo spiega perché è fondamentale compilare correttamente i moduli per la richiesta dei documenti. Competenze e professionalità sono alla base di questo lavoro, ma non basta. Ci vuole anche umanità ed empatia per trasmettere le giuste informazioni.

Quello che emerge è la mancanza di informazioni accessibili per procedere con la regolamentazione della propria condizione. Uno degli ostacoli più difficili da superare è l’apprendimento della lingua locale. Pochi sanno l’italiano e frequentare una scuola gratuita può cambiare la vita a molte persone.

Ci sono però delle differenze tra uomini e donne dettate dal contesto sociale e culturale dei Paesi di origine e del Paese di destinazione. L’emancipazione è prevalentemente maschile. L’uomo lavora, deve mantenere la famiglia e quindi è più predisposto a imparare la lingua per essere più competitivo all’interno del mercato del lavoro.

La donna che ha figli è limitata. Spesso non riesce a conciliare la necessità di integrarsi socialmente con la maternità. Ma esistono anche altre ragioni per non frequentare un corso di italiano.

Le donne che provengono da Paesi prevalentemente patriarcali difficilmente lavorano, indipendentemente dai figli. Quelle che vengono da Paesi culturalmente più emancipati lavorano anche se hanno figli.

In altri casi, indipendentemente dal genere sessuale, manca la volontà di farlo. Questo vale per tutti i migranti in giro per il mondo, anche gli italiani. Da un punto di vista sociologico c’è infatti la tendenza all’autoghettizzazione, ovvero l’auto esclusione dal contesto socio-politico-culturale ed economico del Paese di destinazione.

Si tende a proteggere quello che rimane della propria identità etnica. A stare quindi con i propri “simili” per paura di perdere le proprie origini. Esiste anche la paura di interagire con una realtà sconosciuta e il coraggio di mettersi in gioco non è scontato per nessuno.

La dicotomia “noi e voi” esiste sia per i gruppi dominanti che per le minoranze. E il conflitto può nascere da entrambe le parti.

Intervista a Marco Coviello, docente di italiano per stranieri

Il Caf patronato MCL Circolo Crocetta, in collaborazione con la Cooperativa sociale INISIEME SI PUO’ ONLUS, gestisce due CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria). Le difficoltà sono molte e spesso i professionisti che lavorano nel terzo settore sembrano abbandonati a loro stessi. Il sistema risulta infatti carente.

Le conseguenze si riflettono sugli addetti ai lavori – e quindi – sugli ospiti. La collaborazione con gli Enti di competenza non sempre è efficace. E il problema della sicurezza nelle strutture sembra essere sottovalutato.
I traumi psicologici di chi emigra illegalmente, indipendentemente dal diritto di asilo, si riflettono sulla personalità delle vittime che in alcuni casi diventano ingestibili. I problemi strutturali e burocratici di un sistema di accoglienza mal funzionante alimenta episodi di violenza e aggressività tra gli ospiti e contro le figure professionali che lavorano con loro, le quali non hanno abbastanza strumenti per difendersi e gestire la situazione.
E’ obbligatorio sottolineare ancora una volta che i dati raccolti sono relativi all’indagine svolta, anche se alcuni fatti di cronaca confermano l’esistenza di un problema comune in tutto il territorio nazionale.

CENTRO DI ACCOGLIENZA STRAORDINARIA COPRENO ( LENTATE SUL SEVESO)

Intervista a Mina Beshai, coordinatore delle Unità Abitative di accoglienza

ACCOGLIENZA DELLE RIFUGIATE UCRAINE IN LOMBARDIA

L’accoglienza dei rifugiati ucraini, nella maggioranza donne, ha portato alla luce tutte le carenze di questo sistema.

La prima fase è stata caratterizzata da un forte sentimento di solidarietà, accentuato anche dai riflettori mediatici. Parliamo del periodo tra febbraio 2022 e settembre 2022. In questa fase i rifugiati ucraini hanno ricevuto un trattamento esclusivo, riservato solo a loro. Le risorse però, non potevano durare in eterno e le cose sono cambiate.
Tra settembre 2022 e ottobre 2022 chi non ha avuto la fortuna di continuare a vivere in una condizione privilegiata (in relazione al contesto) è stato trasferito nei vari centri di accoglienza del territorio.

Durante la seconda fase poi, sono emersi i problemi che riguardano tutti gli immigrati. I riflettori mediatici sono rimasti accesi sulla guerra in Ucraina, ma si sono spenti sui rifugiati ucraini in Italia.

Parliamo di un’immigrazione femminile nella maggioranza dei casi.
Donne single, madri con figli e mogli. Gli uomini hanno ancora oggi l’obbligo di combattere nel loro Paese e solo chi riesce a ottenere l’esenzione può lasciare l’Ucraina regolarmente.

Le rifugiate ucraine arrivate in Italia hanno avuto la possibilità di lavorare fin dall’inizio. Il contesto in cui però si dovevano inserire era lo stesso in cui tutti gli immigrati devono integrarsi: “Questa può essere l’occasione per ripensare al modo in cui facciamo accoglienza”, ha affermato Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana durante la presentazione del rapporto sulle povertà il 25 ottobre 2022.

Presentazione del progetto di ricerca all’Università di Bologna

 “Investire sul progetto personale è importante. La fatica più grande è la fragilità di prospettiva”, ha sottolineato Don Paolo Steffano, parroco di SS.Pietro e Paolo ai tre Ronchetti e S. Maria Teresa alle Terrazze, durante la presentazione del rapporto sulle povertà.

“L’aiuto non deve essere intrappolato nell’ennesimo fondo o in quello che ci viene normale fare, ovvero erogare gli aiuti economici e materiali. Dobbiamo dare prospettive di crescita e riscatto”, ha aggiunto il direttore della Caritas Ambrosiana.

Le uniche opportunità lavorative – che il mercato sembra poter offrire – risultano essere limitate a lavori etnicizzati e tramandati dalle donne che prima del 24 febbraio 2022 arrivavano in Italia per fare le badanti o le donne delle pulizie.

Lavori molte volte sottopagati o in nero, classificati in relazione all’etnia e al genere.

Il settore del lavoro domestico, però, spesso diventa una trappola per la maggioranza delle donne immigrate. E combattere per regolarizzare questa professione diventa una battaglia per i diritti delle lavoratrici.

Intervista a Edsel Aguilo, ufficio colf e badanti

I migranti, in tutte le parti del mondo, risultano essere spesso convenienti perché colmano lacune che gli Stati non riescono a colmare. Dall’altra parte, quella dei migranti, spesso risulta conveniente colmare quelle lacune.
Un circolo vizioso. Una combinazione stabile emergenziale per cui il mantenimento di ciascuna condizione contribuisce alla sopravvivenza di entrambe le parti.

Il lavoro, quello regolare, è però la prima fonte di indipendenza individuale, sociale, politica e culturale. E oggi, le competenze informatiche diventano essenziali per inserirsi all’interno del mercato. Per questo motivo il Caf patronato MCL Circolo Crocetta mette a disposizione un corso di informatica che sembra rivoluzionare la vita degli studenti.

Sono tutte donne provenienti nella maggioranza dei casi dall’America meridionale, con una grande voglia di emanciparsi. Vogliono migliorare la loro vita e la loro posizione lavorativa. Così hanno deciso di acquisire tutti gli strumenti necessari per farlo.

IMMIGRAZIONE REGOLARE E IMMIGRAZIONE IRREGOLARE: PAESI SICURI E PAESI NON SICURI

Per comprendere il fenomeno dell’emigrazione di massa occorre analizzare i flussi migratori e distinguere il diritto di asilo dal reato di clandestinità.

A novembre 2023 Italia e Albania hanno firmato un accordo finalizzato a rimpatriare i migranti che provengono dai cosiddetti Paesi sicuri. Ovvero coloro che commettono il reato di clandestinità sulla base della mancanza di requisiti indispensabili per richiedere asilo politico. L’obiettivo pubblicamente delineato dalla Presidente del Consiglio italiano è contrastare la criminalità organizzata che gestisce i traffici di esseri umani.

Le mafie transnazionali sono infatti presenti sia nei Paesi di origine che in quelli di destinazione. La collaborazione è internazionale e stratificata.

INDAGINE SUL CAMPO IN ALBANIA: CENTRI PER MIGRANTI DI SHENGJIN E GJADER

Le politiche sull’immigrazione devono essere contestualizzate all’interno delle dinamiche di potere tra gli Stati sovrani egemoni e gli Stati cuscinetto. E’ una struttura gerarchica dove si infiltrano le organizzazioni criminali che gestiscono i migranti dal punto di partenza a quello di arrivo.

Ragionare in termini di “giusto o sbagliato” non è appropriato se analizziamo le politiche internazionali dal punto di vista del beneficio del crimine, dove gli Stati oppressori tengono sotto ricatto quelli oppressi.

Le probabilità che dentro, o dietro, all’accordo tra Italia e Albania ci siano le mafie albanesi e italiane – in collaborazione con quelle africane e non solo – sembrano essere concrete. A coordinare i centri per i migranti di SHENGJIN GJADER è infatti Medihospes, una delle principali cooperative sociali in Italia, che gestisce oltre il 60% dei centri per migranti.

Alla guida delle operazioni c’è Camillo Aceto, noto negli ultimi vent’anni per diverse inchieste della magistratura con accuse che vanno dalla truffa nelle forniture di pasti alle mense ospedaliere di Bari – che lo vide finire agli arresti nel 2003 -all’indagine per infiltrazioni mafiose nella gestione del Cara di Mineo in Mafia capitale, a svariate indagini per frode in pubbliche forniture da parte delle varie società in cui ha avuto incarichi dirigenziali e che alla fine sono confluite nella Medihospes.

DIRITTO DI ASILO E REATO DI CLANDESTINITA’
Gli hotspot italiani in Albania sono destinati ai migranti irregolari, provenienti da Paesi definiti sicuri, che devono essere rimpatriati.
I criteri di selezione dei migranti che non hanno diritto di asilo, però, non sono chiari.
Le mafie transnazionali hanno costruito un sistema criminale organizzato sulla base del beneficio del crimine sfruttando a loro favore la dichiarazione universale dei diritti umani.

I migranti che hanno diritto alla richiesta di asilo rimangono intrappolati nella rete di queste mafie che – dai Paesi di origine a quelli di destinazione – gestiscono le tratte.

Il territorio albanese di Shëngjin e Gjadër, dove hanno allestito i centri italiani per l’immigrazione “è sotto il dominio dei clan di Tirana, Scutari e Durazzo. Si tratta dei gruppi criminali albanesi maggiormente strutturati che dominano nel territorio e si concentrano principalmente sul traffico di stupefacenti, sul commercio di esseri umani, sui traffici di armi e sull’accaparramento di aiuti e appalti pubblici – spiega il giurista, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale Vincenzo Musacchio e continua – A Tirana operano almeno tre gruppi criminali ben strutturati e molto potenti. Hanno iniziato la loro attività criminale già sotto il regime comunista e si sono notevolmente rafforzati soprattutto per i loro legami con la politica e l’imprenditoria locale. La corruzione e le ingenti quantità di denaro sono lo strumento per infiltrarsi nell’economia e nella finanza. Da quanto emerge dalle ricerche effettuate, le tre organizzazioni criminali si sono divise il territorio e gli affari in pieno accordo tra loro. C’è chi si occupa del riciclaggio di proventi criminali. Chi gestisce il traffico di armi, stupefacenti ed esseri umani. Chi infine ha interessi nel campo degli investimenti economici soprattutto del cromo di cui l’Albania è fra i principali produttori al mondo”.

L’accordo tra Giorgia Meloni e Edi Rama prevede 653 milioni di euro spalmati in cinque anni. Il costo della gestione delle strutture è di circa 30 milioni.  

Gli oltre 620 milioni che rimangono servono a finanziare altri settori dell’investimento.

La lotta alle mafie che gestiscono gli sbarchi illegali deve quindi prendere in considerazione l’evoluzione criminale delle organizzazioni albanesi: “Il boss più potente tra loro è Daut Kadriovski, arrestato anni fa in Albania, e accusato di legami stretti con le famiglie di alcuni politici molto noti nel Paese. C’è anche Dritan Dajti che figura nell’elenco dei criminali più pericolosi in Europa. A Scutari si ritiene ci siano quattro grandi ‘cosche’ mafiose coinvolte in varie attività criminali. Queste quattro famiglie (ex Shehu, Hasani, Gjajka e Gashisono) sono coinvolte nel traffico di stupefacenti, armi, organi ed esseri umani. Scutari è diventata il principale centro per la coltivazione di cannabis e questo porta questi gruppi criminali a un nuovo rafforzamento e probabilmente a una posizione di preminenza rispetto agli altri gruppi criminali operanti nella regione”, sottolinea Musacchio.

L’immigrazione clandestina è diventata a tutti gli effetti un business che vale tanto quanto quello del traffico di droga. E la cooperazione transnazionale criminale ha generato un sistema parallelo a quello legale che sfrutta le leggi internazionali per espandere il suo dominio.

Chi sceglie di emigrare clandestinamente lo fa a causa dei documenti. Il sistema burocratico dei Paesi di origine e di destinazione è infatti alla base del problema. Gestire l’accoglienza non è abbastanza. Occorre produrre informazione di qualità in grado di creare strumenti funzionali per combattere le mafie e rispettare la dichiarazione universale dei diritti umani.

Intervista a Gnima Seck, presidente di Diasporafrica APS

Un sistema di accoglienza inefficiente, contraddizioni politiche sulla base di una realtà dei fatti censurata, incompetenza amministrativa e criminalità organizzata hanno generato guerre civili tra poveri e spesso ignoranti. Il risultato è un degrado sociale, demografico, economico, urbanistico e culturale.

Diventa così difficile distinguere vittime e carnefici perché la linea di confine tra “buoni” e “cattivi” si confonde con propagande fittizie che alimentano solo la rabbia per ottenere consenso.

Intervista a Mario Pregnolato, consigliere comunale di Cinisello Balsamo

Il dibattito occidentale è strutturato sulla narrazione paternalistica degli Stati europei che sembra però contrastare il diritto all’autodeterminazione dagli Stati africani.
Questa narrativa contribuisce allo svuotamento dell’interno continente, lasciandolo nelle mani di Governi fantoccio – supportati dalle ex colonie – che reprimono ogni tentativo di resistenza.
Molti sono gli africani che hanno perso la vita combattendo per i propri Paesi. E il loro sacrificio sta risvegliando un forte sentimento panafricanista.

L’emigrazione di massa proveniente dagli Stati extracomunitari porta con sé le conseguenze di politiche internazionali fondate sullo sfruttamento delle materie prime dei Paesi di origine che si riflettono nei Paesi di destinazione.

Per analizzare i flussi migratori è quindi necessario depoliticizzare il punto di vista dell’osservazione e distaccarsi dalle dinamiche di partito per riportare i fatti oggettivi.

La visione xenofoba e razzista dell’estrema destra – costruita sulla minaccia dell’invasione straniera – ha per anni favorito una battaglia fittizia della sinistra fondata sull’accoglienza paternalistica. Il fine di entrambe le propagande è il consenso degli elettori che da una parte pensano di contrastare il nemico esterno (l’immigrato) e dall’altra si illudono di combattere quello interno (la destra).

La realtà così come si presenta però non distingue due fazioni contrapposte. E quello che emerge è la contraddizione di entrambe le propagande.

Concludiamo la prima fase con la narrazione dei migranti meridionali che lasciavano le campagne per raggiungere le industrie del nord Italia. Le dinamiche sono le stesse. Diventa quindi utile e necessario comprendere gli errori di ieri per correggere quelli di oggi.

SECONDA FASE: RICERCA DELLA NOTIZIA 21/03/2025

Dopo l’indagine sul campo, focalizzata sull’analisi dei flussi migratori che definiscono il carattere identitario della demografia del quartiere di Cinisello Balsamo, abbiamo approfondito i dati raccolti.
La ricerca della notizia ha portato alla luce aspetti della realtà importanti per la comprensione di specifiche dinamiche territoriali e psicosociali.

La storia di questa periferia milanese è costruita sui flussi di migrazione. E oggi la realtà presenta un divario culturale e generazionale. Due mondi distinti: la vecchia generazione di migranti italiani e la nuova generazione di migranti stranieri.

La mancanza di strumenti in grado di mettere in comunicazione le due comunità crea un vuoto colmato dal degrado urbanistico e sociale. Le conseguenze si traducono in conflitti interni alla popolazione residente che non riesce a trovare un punto di incontro. La situazione attuale è quindi il risultato dell’assenza di reali politiche sociali efficaci. Come è emerso dall’indagine sul campo, quindi, non è questione di “destra” o “sinistra”, ma piuttosto di un’incompetenza generalizzata aggravata da un’informazione politicizzata.

Il quartiere Crocetta è una realtà diffusa a macchia d’olio in tutto il territorio nazionale. Diventa perciò obbligatorio studiarla e comprendere le dinamiche per trasformare i dati raccolti in strumenti efficienti a disposizione degli addetti ai lavori.

CENTRO CIVICO PER ANZIANI QUARTIERE CROCETTA

“All’inizio non piaceva tanto questa sistemazione, perché non conoscevamo Cinisello. Poi invece ci siamo affezionati come accade per tutte le case in cui si va ad abitare. C’è un pezzo di vita dentro. Nonostante l’aspetto esteriore, per noi deve essere giusto che sia una reggia”, racconta una signora del Centro Civico per anziani del quartiere. Ha riunito tutte le donne con cui condivide l’esperienza di migrazione e ci ha invitati ad ascoltarle.

Sono tutte italiane, arrivate negli anni ’60 quando i centri industriali del nord Italia iniziarono ad attirare la popolazione delle campagne.

“Era una corsa a trovare un pezzo di pane”, raccontano.

Come accade per i migranti stranieri oggi, anche loro hanno vissuto le stesse discriminazioni: “Ho provato sulla pelle sentirsi rispondere dai milanesi ‘non si affitta ai meridionali’ e questa è una cosa terrificante”, sottolinea una donna. Ricorda ancora il biglietto con quella scritta. “Anche sui giornali, quando mettevano l’annuncio, sottolineavano ‘non ai meridionali’ e tutti se lo ricordano”, conferma un’altra signora.

Le dinamiche psicosociali che si innescano all’interno di una comunità davanti allo “straniero” – che in questo caso arrivava dallo stesso Paese, ma da una Regione diversa – sono uguali per tutti. E’ una reazione di auto-difesa che si attiva per paura. L’ignoranza, intesa come mancanza di informazioni, alimenta il divario che si crea tra i membri che fanno parte della comunità e quelli che non ne fanno parte.

Il processo di integrazione è quindi anche una questione di informazioni.

“Noi abbiamo vissuto la discriminazione e non discriminiamo nessuno. L’importante è che si comportino bene”, raccontano le signore del Centro Civico per anziani. Con i migranti che provengono dai Paesi esteri però, queste dinamiche si complicano perché le differenze sono estremizzate.

Il degrado evidente che è ormai diventato intollerabile, è il sintomo di una mancata integrazione. La condizione perfetta per la criminalità organizzata, che in questo ambiente può reclutare persone in stato di difficoltà psico-economica per ampliare la propria rete.

L’isolamento, fattore determinante del processo di ghettizzazione, è una delle principali cause da analizzare.

“Io parto dal presupposto di culture diverse che vanno messe assieme – afferma una signora e continua – bisognerebbe fare un’educazione civica a partire dalle scuole. Prima si faceva. Ora non si fa più”.

Chiediamo allora se c’è uno scontro tra italiani e stranieri: “No. E’ una questione di sovrappopolazione che si trasforma in intolleranza. Ci sono delle persone che vivono di espedienti e per combinazione sono qua. Ci sono dei palazzi dove il proprietario affitta l’appartamento a una persona, ma entrano in 18 a vivere. Quei poveracci che vanno dentro a dormire anche per una notte vengono sfruttati. E si crea come un ghetto. Il degrado poi porta degrado”.

RIQUALIFICAZIONE QUARTIERE CROCETTA

La storia del quartiere è anche caratterizzata dai tanti progetti di riqualificazione – mai realizzati o realizzati in parte – per far fronte al disagio urbano.

La discussione relativa alla pianificazione del territorio sembra però rimanere interna alla politica e i residenti, che dovrebbero beneficiare dei lavori, non sono del tutto informati. “Ci chiediamo perché ancora non venga fatta una riqualificazione. Ce ne parlano soltanto quando ci sono le votazioni, ma non sappiamo nulla di più”, affermano.

Le idee in merito al dibattito si rivelano confuse: “Ce ne hanno parlato vagamente”, dice una signora del gruppo. “Ci chiediamo perché non facilitino la vita delle persone anziane. Noi siamo invecchiati e ci hanno abbandonati. Siamo isolati in tutti i sensi. Abbiamo lottato tanto anche per tenerci questo Centro Civico. Volevano fare un parcheggio e non avremmo avuto nemmeno una panchina per sederci”.

La demografia di questo quartiere riflette la situazione nazionale. L’Italia è il Paese europeo con la percentuale più alta di persone over 60 e il degrado urbano mette in serio pericolo la mobilità di una grande fetta dei residenti: “Non ci ascolta nessuno”, dicono.


Subentra però un altro problema: “Noi non abbiamo più le forze per combattere. I giovani potrebbero lottare al nostro posto, ma la maggior parte sono stranieri e a causa della legge, che non li fa sentire italiani, non si sentono coinvolti. Invece di fare manifestazioni con le bandiere, la politica dovrebbe creare qualcosa per farci incontrare – spiegano e concludono – qualcosa che avvicini le due comunità. Purtroppo hanno costruito muri. Noi invece abbiamo bisogno di ponti”.

Il divario quindi è culturale e generazionale. L’incontro tra la vecchia generazione di migranti italiani e le nuove generazioni di migranti stranieri potrebbe perciò agevolare la trasmissione di quelle informazioni che mancano per disinnescare il sistema di auto-difesa e dare inizio a un processo di integrazione reale. In questo modo i giovani residenti stranieri potrebbero avere più interessi a partecipare alla vita sociale del quartiere. E di conseguenza a portare avanti le lotte che gli anziani residenti italiani non riescono più a combattere.

CONVIVENZA E INTEGRAZIONE

Quando parliamo di integrazione in relazione ai flussi di migrazione dobbiamo necessariamente parlare di convivenza all’interno di spazi urbani delimitati.

Lo studio della disposizione di questi spazi deve considerare le caratteristiche fisiche del territorio che andranno poi a definire le dinamiche di interazione tra i residenti. Per semplificare il concetto proviamo a immaginare un bilocale dove all’interno vive un nucleo famigliare composto da due genitori, quattro nonni e tre figli di età diverse. La mancanza di spazi genera conflitti interpersonali, disordine e degrado. La stessa cosa accade in un quartiere che non rispetta le esigenze di tutti coloro che vivono al suo interno. La situazione si complica se i residenti hanno modi di vivere totalmente opposti tra loro, parlano lingue differenti e hanno tradizioni completamente diverse. Se poi, oltre al divario culturale sommiamo quello generazionale, questi conflitti possono sfociare in forme di odio e intolleranza reciproca.

Parliamo quindi di Piani di Governo del Territorio (PGT) che oggi devono adattarsi all’urbanistica di quartieri costruiti in un’epoca diversa, dove le esigenze della popolazione residente erano definite dalla demografia di periodi storici contestualizzati.

L’Italia è un Paese “vecchio”, e questo è noto a tutti. Il cambiamento epocale però è avvenuto in tempi relativamente veloci. E l’adattamento a un cambio demografico così immeditato non può essere applicato se prima non viene attuata una riqualifica degli spazi urbani in relazione alle esigenze della popolazione residente.

Abbiamo quindi intervistato Daniela Gasparini, ex sindaca di Cinisello Balsamo, per ricostruire la storia urbanistica del quartiere Crocetta.

Dobbiamo distinguere il progetto di riqualificazione pubblico e quello privato, altrimenti non è possibile identificare le cause che impediscono la risanazione dell’intero quartiere.

Il Piano di Governo del Territorio Entangled è un progetto di rigenerazione urbana. Il Comune di Cinisello Balsamo ha infatti aderito alle strategie di sviluppo urbano sostenibile e quindi ai fondi strutturali e di investimento europei 2021-2027 di Regione Lombardia.

Il progetto prevede un budget di spesa pari a € 20.727.911,07 finanziati dai seguenti fondi:
• FSE+ € 550.000
• FESR € 14.750.000
• FSC € 2.400.000
• Risorse proprie/altre risorse € 3.027.911,07

L’ambito di interesse è il quartiere Crocetta, inteso per la prima volta non più nel suo perimetro tradizionale di quartiere chiuso tra le grandi arterie viabilistiche (A4, A52, SS6) con la più alta densità abitativa della città (29.000 ab/kmq circa), ma in un orizzonte più ampio, che guarda oltre i confini fisici del quartiere.

Crocetta è un’area costituita da grandi complessi residenziali, realizzati tra gli anni Sessanta e Settanta, con una densità abitativa pari a sei volte la media cittadina. La popolazione straniera rappresenta il 65% degli abitanti, su un totale di 5.000 residenti, distribuiti su una superficie di 157.890 mq.

Il patrimonio edilizio è quasi interamente privato e caratterizzato da un forte ricambio della popolazione residente dovuto alla crescita costante della componente straniera, che negli anni ha progressivamente sostituito molti abitanti storici. In origine gli edifici erano stati progettati per accogliere lavoratori in transito da Milano per motivi di lavoro, offrendo loro una sistemazione temporanea. Oggi, invece, il quartiere è abitato da nuclei familiari che hanno scelto di restare, portando con sé un forte senso di appartenenza e il desiderio di migliorare la qualità della vita nel proprio contesto abitativo.

Attualmente il progetto di riqualificazione pubblico è già in atto, ma l’amministrazione comunale non può intervenire nelle aree private. Negli anni il degrado urbanistico ha disincentivato molti imprenditori che avrebbero potuto investire nel quartiere riqualificando le proprietà dismesse. Oggi però emerge anche un altro ostacolo che di fatto blocca i lavori. Senza un accordo tra tutti i privati interessati non è possibile procedere. E questa è la risposta a tutte le domande dei residenti che si chiedono “perché nessuno fa niente”.

EDUCAZIONE CIVICA E RIQUALIFICAZIONE URBANA

Abbiamo intervistato Maria Quattrociocchi e Rosetta Riboldi, rappresentanti del coordinamento Umanità Migrante di Cinisello Balsamo, per approfondire le relazioni tra i residenti stranieri – o di origine straniera con cittadinanza italiana – e i residenti italiani.

La realtà è molto più complessa dell’ideologia.

Il divario culturale e generazionale diventa un muro difficile da abbattere. E la mancanza di informazioni in grado di andare oltre alla propaganda (di destra e di sinistra) favorisce l’isolamento e la ghettizzazione delle comunità.

Nonostante le iniziative a favore di un incontro socio-politico e culturale, la forza attrattiva non sembra essere sufficiente per coinvolgere tutti i residenti.

Temi sensibili come la Palestina riescono in qualche modo a creare interesse, ma quasi esclusivamente se diventano una forma di intrattenimento con personaggi famosi capaci di attirare il pubblico.
Anche in questo caso, però, è difficile coinvolgere le comunità straniere (di Cinisello Balsamo) che sembrano rimanere isolate all’interno del loro ghetto.

L’unico canale di comunicazione è la scuola. Qui, all’interno di un contesto educativo, è possibile trasmettere informazioni indispensabili per avvicinare i giovani residenti. L’educazione civica è un mezzo fondamentale per innescare le dinamiche della convivenza e imparare a conoscere la realtà in cui i ragazzi vivono. Perché saranno loro gli adulti di Cinisello Balsamo. E oggi abbiamo la responsabilità di produrre informazioni utili per cambiare il loro futuro.

“All’inizio c’erano i decreti sicurezza di Salvini e la gente si trovava di fronte a delle informazioni che non erano informazioni, ma che in realtà erano falsità. Era propaganda. La gente veniva spaventata – spiega la signora Rosetta e continua – Ricordiamoci che anche noi abbiamo vissuto il razzismo, anche noi abbiamo vissuto la sofferenza di lasciare la nostra casa”.

La mancanza di informazioni qualitative sono alla base del lavoro di questo coordinamento. La necessità di andare oltre alle narrazioni, che vengono costruite dai partiti politici prima e poi diffuse attraverso le testate giornalistiche, ha costretto questi residenti di Cinisello Balsamo a fare il lavoro che avrebbero dovuto fare (e dovrebbero fare) i professionisti dell’informazione.

“I cittadini di Cinisello Balsamo, e non solo, non conoscono bene a fondo queste situazioni e noi abbiamo cercato di far capire cosa ci sta dietro a una persona che migra da certi Paesi“. La televisione e la stampa in generale si limitano infatti a diffondere la propaganda di appartenenza politica, semplificando una realtà molto più complessa da comprendere.

Come abbiamo già sottolineato, all’interno del comune di Cinisello Balsamo vivono numerose comunità di stranieri. La più numerosa risulta essere quella araba/nord africana. Per entrare in contatto con questi residenti, il coordinamento Umanità Migrante ha quindi cercato di trovare canali di comunicazione favorevoli all’incontro, ma nonostante l’impegno il risultato non sembra essere soddisfacente. “Noi abbiamo cercato di coinvolgerle in varie occasioni, come le iniziative sulla Palestina e le giornate del rifugiato e del migrante. L’impressione però è che l’iniziativa politica non è mai presa in considerazione da queste comunità (di Cinisello Balsamo). Non riusciamo a coinvolgerle nelle attività più sociali o politiche che facciamo. L’unico ponte è la Parrocchia perché i ragazzini frequentano l’oratorio o vanno a lezione. Sfruttando questo canale riusciamo a entrare in contatto con le famiglie. Per cui c’è questa micro diffusione di persone che fanno delle cose. Qualcuno fa giocare i bambini mentre le mamme imparano l’italiano ad esempio. Attività spezzettate” raccontano le rappresentanti di Unità Migrante.

Da quello che è emerso, il divario culturale e generazionale tra vecchi e nuovi residente è aggravato da una convivenza difficile. “Il quartiere Crocetta è sempre stato un problema proprio perché quando hanno costruito quei casermoni, sia lì che a Sant’Eusebio, hanno raggruppato una serie di disagi. E quando si mettono insieme i disagi non si risolvono i problemi perché si isolano le cose. Noi non abbiamo la pretesa e la possibilità di entrare nelle singole problematiche dei migranti, che sono tante, perché questo problema va risolto e discusso a livello di quartiere con i rappresentanti eccetera. Non possiamo e non siamo noi a dover affrontare queste problematiche. Possiamo solo dire che vediamo una scarsa partecipazione delle varie comunità alle nostre iniziative. Si può presentare qualche singolo, ma non come comunità. Manca comunque un’informazione vera e purtroppo siamo profondamente ignoranti. L’elemento culturale è fondamentale”, sottolineano Maria e Rosetta.

Lavorare sull’ideologia dell’incontro però non basta per convivere all’interno di spazi urbanistici adeguati alla demografia. L’educazione civica nelle scuole è fondamentale in realtà così complesse, dal punto di vista etnico, e offre la possibilità di diffondere informazioni dettagliate agli adulti di domani: “Abbiamo proiettato il film Erasmus in Gaza che parla di un ragazzo poco più grande di loro. Alla fine gli studenti hanno chiesto spontaneamente di rintracciarlo per comprendere a fondo la situazione. Questo per far capire quanto è importante la scuola. Purtroppo è difficile entrare all’interno del sistema scolastico”, spiegano.

La difficoltà di arrivare ai giovani trasforma il divario culturale in un muro divisorio. Un argomento così sentito come la Palestina potrebbe però fungere da collante, “ma deve nascere da loro”, affermano.

TERZA FASE: VERIFICA DELLE FONTI 12/05/2025

Siamo andati a verificare una delle due cause che hanno generato – e alimentato negli anni – il degrado nel quartiere Crocetta di Cinisello Balsamo: la mancanza di educazione civica.

Durante la seconda fase è emerso un divario culturale e generazionale che isola la comunità italiana (35%) da quelle straniere (65%). Le abitudini dei residenti della vecchia generazione di migranti italiani – che hanno lasciato le campagne per immigrare nei centri industrializzati negli anni ’60/’70 – sono state stravolte dall’emigrazione di massa dai Paesi esteri. Atteggiamenti di disordine pubblico, maleducazione e microcriminalità – che abbiamo analizzato dal punto di vista psicologico, politico e sociale durante la prima fase – hanno quindi trasformato il quartiere in un ghetto. All’interno convivono residenti di diverse origini etniche, culturali, religiose e politiche divise da un muro di pregiudizi e ostilità reciproche.

La comunità italiana – che in questo caso rappresenta la minoranza dei residenti – critica gli stranieri. Reazione, questa, definita in parole semplici con il termine “razzismo” perché esterna alle comunità di immigrati provenienti dai Paesi esteri.

Tutti i tentativi di creare opportunità per dialogare con i soggetti interessati sembrano però poco efficaci.

Siamo quindi andati a verificare le fonti all’interno della comunità “black” con Mabel Jessica, attivista e artista di Cinisello Balsamo.

L’autocritica interna alle comunità straniere è quasi inesistente. “Autocriticarsi é molto difficile“, spiega Mabel Jessica riferendosi nello specifico alla comunità nera. Parliamo infatti di un’identità etnica, culturale, politica e sociale traumatizzata da generazioni. Anche lei – donna e madre nera– conferma quello che i residenti italiani criticano dall’esterno ma è difficile pretendere lo stesso sguardo critico dall’intera comunità.

Esiste anche un forte pregiudizio verso le persone caucasiche a causa di traumi generazionali tramandati nel tempo. Parlare della schiavitù sembra quasi una forzatura, ma dal punto di vista psicosociale la trasmissione di atteggiamenti indotti dal periodo coloniale non è mai stata interrotta realmente. Sia all’interno che all’esterno della comunità stessa.
Gli effetti sull’identità individuale, davanti al nemico esterno identificato nelle persone bianche, sono devastanti perché il singolo non si percepisce come individuo ma come membro appartenete a un’intera collettività vittima del proprio carnefice.

Il nemico esterno ha sempre la funzione di unificare le identità sgretolate. E anche quella italiana reagisce nello stesso modo davanti allo straniero.

“L’Africa però non è un piccolo paesino, ma un vero e proprio continente. Ogni Stato ha le sue tradizioni, la sua cultura, i suoi modi di fare. Non siamo tutti uguali e ognuno di noi rappresenta sé stesso, non la comunità”, sottolinea l’attivista di Cinisello Balsamo.

Oltre al divario culturale, però, esiste anche quello generazionale. I residenti italiani appartengono in prevalenza alla vecchia generazione, mentre quelli stranieri o di origine straniera rappresentano le nuove generazioni di questa città. E qui emerge il vero ostacolo alla comunicazione: i mezzi.

Se gli anziani vivono nel mondo reale, i giovani vivono in quello virtuale. Nonostante la volontà di interagire, le due realtà sembrano essere distanti anni luce. “Quello che ci piace, purtroppo, è apparire in un certo modo. Ci interessano i social, i followers. Questa è un’epoca superficiale”, racconta Mabel Jessica. Se infatti il divario culturale può essere colmato con l’incontro, quello generazionale no: “Perché se tu vivi nel mondo reale e io in quello virtuale, non ci possiamo incontrare”.

AUTOCRITICA INTERNA ALLE COMUNITA’ STRANIERE

Iniziare a parlare di autocritica diventa fondamentale, ma con l’aiuto della terapia psicologica: “la salute mentale è indispensabile per tutti, particolarmente però per quelle comunità che portano sulle spalle traumi generazionali pesantissimi. Solo con la terapia possiamo spezzare la trasmissione. E l’informazione è importantissima, altrimenti rimaniamo dove siamo”, conclude Mabel Jessica.

Il degrado che si è accumulato negli anni, però, non è più tollerabile.

I residenti di Cinisello Balsamo, in particolare i cittadini della zona che coinvolge le attività commerciali ubicate all’interno del quartiere Crocetta, non possono più accettare i topi e gli insetti che arrivano a causa dell’inciviltà di coloro che occupano abusivamente l’ex Copacabana, edificio dismesso diventato ormai un ghetto. L’avviamento del progetto di riqualificazione urbana dell’area privata è però ostacolato da uno dei proprietari dei negozi. Il Comune, per procedere, chiede l’adesione del 100% ma manca una firma.

RIQUALIFICAZIONE EX COPACABANA

Abbiamo intervistato il project manager Rimoldi Paolo di Exco srl – Gruppo RCasaholding – e il geometra Giuseppe Longoni dello studio Longoni di Giuseppe e Chiara Longoni, che hanno spiegato nel dettaglio che cosa prevede questa riqualificazione.

Siamo andati anche dal proprietario del negozio che non ha ancora firmato. Per tutelare la fonte non pubblichiamo il nome, ma per dovere di cronaca dobbiamo precisare la realtà dei fatti. Durante una conversazione informale ha esplicitato le sue motivazioni invitando il project manager Paolo Rimoldi e il geometra Giuseppe Longoni a sostenere un confronto pacifico in presenza del suo avvocato. La controparte ha accettato senza timore, fissando un appuntamento da concordare insieme.

A questo punto il diretto interessato, dopo aver preso tempo per confermare giorno e data, ha rifiutato l’incontro da lui proposto con un messaggio di testo: “Buongiorno, purtroppo non mi è possibile rilasciare dichiarazioni su quanto richiesto, dal momento che è in essere un contenzioso legale”.

GLI INTERESSI DELLA COMUNITA’ E QUELLI PRIVATI DI UN SINGOLO

“In nome del bene pubblico, che di fronte al degrado intollerabile di questo quartiere supera gli interessi di un singolo soggetto privato, chiedo al sindaco di intervenire”. Questo è l’appello di Renato Moriggi, presidente della Cooperativa Sociale Insieme Si Può Onlus – Caf patronato MCL Circolo Crocetta di Cinisello Balsamo – che da anni offre assistenza, servizi e supporto ai residenti della città.

Per riqualificare la zona dell’ex Copacabana servono tutte le firme delle attività commerciali. Sono tutti d’accordo tranne un proprietario, che di fatto ostacola l’avviamento dei lavori. La sanificazione dell’intera area è però una necessità pubblica. È una reale urgenza che interessa la cittadinanza, non solo i singoli soggetti privati. Per questo motivo è arrivato il momento di prendere una posizione.

Il Caf patronato Mcl Circolo Crocetta di Cinisello Balsamo è ormai un punto di riferimento per il quartiere, l’intera città e tutto l’hinterland milanese. Ogni giorno decine di residenti, provenienti da diverse parti del mondo, entrano nella sede di via Stalingrado 16/18 per ricevere assistenza fiscale e civica. Molti sono i cittadini stranieri che usufruiscono dei corsi per l’inserimento sociale ed economico, ma gli spazi per garantire un servizio continuativo e funzionale alla reale integrazione non sono sufficienti. Oltre a questo disagio, il degrado dell’intera zona dell’ex Copacabana non consente di lavorare nelle condizioni igieniche previste dalle norme di sicurezza. L’immondizia accumulata a causa della mancanza di educazione civica attira animali e insetti di ogni tipo. La situazione è ormai diventata intollerabile dal punto di vista del bene pubblico. Purtroppo, però, l’area è privata e l’avviamento dei lavori di riqualificazione è ostacolato da una singola attività commerciale che si oppone.

CONCLUSIONE FINALE

La convivenza tra esseri umani all’interno di uno spazio condiviso è alla base di tutte le relazioni sociali. Demografia e urbanistica, quindi, sono gli strumenti che dobbiamo utilizzare per comprendere le problematiche dell’accoglienza. Non è possibile parlare di integrazione culturale se mancano rispetto per le regole e volontà di accettare compromessi. Non possiamo politicizzare questioni così complesse come le conseguenze dell’emigrazione proveniente dai Paesi esteri se prima non analizziamo le cause. Diventa difficile assumersi la responsabilità di risolvere i problemi degli altri se non si affrontano i conflitti interni alla propria comunità. E non dobbiamo fare l’errore di utilizzare slogan politici per semplificare dinamiche psicosociali, economiche e territoriali troppo difficili da spiegare alla massa.

Per formare e informare l’opinione pubblica, però, occorre produrre informazione di qualità. Ci vuole tempo, obiettività, distacco emotivo e onestà intellettuale. Competenze e professionalità sono indispensabili per lavorare nel sociale. E l’attività giornalistica che abbiamo svolto a Cinisello Balsamo può diventare un caso studio per tutti i professionisti del terzo settore.

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