PROGETTO DI INFORMAZIONE CROCETTA, TERZA FASE: VERIFICA DELLE FONTI

Siamo andati a verificare una delle due cause che hanno generato – e alimentato negli anni – il degrado nel quartiere Crocetta di Cinisello Balsamo: la mancanza di educazione civica.

Durante la seconda fase è emerso un divario culturale e generazionale che isola la comunità italiana (35%) da quelle straniere (65%). Le abitudini dei residenti della vecchia generazione di migranti italiani – che hanno lasciato le campagne per immigrare nei centri industrializzati negli anni ’60/’70 – sono state stravolte dall’emigrazione di massa dai Paesi esteri. Atteggiamenti di disordine pubblico, maleducazione e microcriminalità – che abbiamo analizzato dal punto di vista psicologico, politico e sociale durante la prima fase – hanno quindi trasformato il quartiere in un ghetto. All’interno convivono residenti di diverse origini etniche, culturali, religiose e politiche divise da un muro di pregiudizi e ostilità reciproche.

La comunità italiana – che in questo caso rappresenta la minoranza dei residenti – critica gli stranieri. Reazione, questa, definita in parole semplici con il termine “razzismo” perché esterna alle comunità di immigrati provenienti dai Paesi esteri.

Tutti i tentativi di creare opportunità per dialogare con i soggetti interessati sembrano però poco efficaci.

Siamo quindi andati a verificare le fonti all’interno della comunità “black” con Mabel Jessica, attivista e artista di Cinisello Balsamo.

L’autocritica interna alle comunità straniere è quasi inesistente. “Autocriticarsi é molto difficile“, spiega Mabel Jessica riferendosi nello specifico alla comunità nera. Parliamo infatti di un’identità etnica, culturale, politica e sociale traumatizzata da generazioni. Anche lei – donna e madre “nera” – conferma quello che i residenti italiani criticano dall’esterno ma è difficile pretendere lo stesso sguardo critico dall’intera comunità.

E’ vero anche che esiste un forte pregiudizio verso i “bianchi” a causa di traumi generazionali tramandati nel tempo. Parlare della schiavitù sembra quasi una forzatura, ma dal punto di vista psicosociale la trasmissione di atteggiamenti indotti dal periodo coloniale non è mai stata interrotta realmente. Sia all’interno che all’esterno della comunità stessa.
Gli effetti sull’identità individuale, davanti al nemico esterno identificato nelle persone caucasiche, sono devastanti perché il singolo non si percepisce come individuo ma come membro appartenete a un’intera collettività vittima del proprio carnefice.

Il nemico esterno ha sempre la funzione di unificare le identità sgretolate. E quella italiana reagisce nello stesso modo davanti allo straniero. “L’Africa però non è un piccolo paesino, ma un vero e proprio continente. Ogni Stato ha le sue tradizioni, la sua cultura, i suoi modi di fare. Non siamo tutti uguali e ognuno di noi rappresenta sé stesso, non la comunità”, sottolinea l’attivista di Cinisello Balsamo.

Oltre al divario culturale, però, esiste anche quello generazionale. I residenti italiani appartengono in prevalenza alla vecchia generazione, mentre quelli stranieri o di origine straniera rappresentano le nuove generazioni di questa città. E qui emerge il vero ostacolo alla comunicazione: i mezzi.

Se gli anziani vivono nel mondo reale, i giovani vivono in quello virtuale. Nonostante la volontà di utilizzare gli stessi mezzi di comunicazione, le due realtà sembrano essere distanti anni luce. “Quello che ci piace, purtroppo, è apparire in un certo modo. Ci interessano i social, i followers. Questa è un’epoca superficiale”, racconta Mabel Jessica. Se infatti il divario culturale può essere colmato con l’incontro, quello generazionale no: “Perché se tu vivi nel mondo reale e io in quello virtuale, non ci possiamo incontrare”.

Iniziare a parlare di autocritica diventa fondamentale, ma con l’aiuto della terapia psicologica: “la salute mentale è indispensabile per tutti, particolarmente però per quelle comunità che portano sulle spalle traumi generazionali pesantissimi. Solo con la terapia possiamo spezzare la trasmissione e l’informazione è importantissima, altrimenti rimaniamo dove siamo”, conclude.

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